Una grande tela
del pittore Giovanni Salino
con una rara iconografia
legata ai Terziari quali San Corrado
S. Francesco alla Verna che riceve
le stimmate
vestito dell'abito bigio del
Terzo Ordine Regolare
Dal bellissimo sito della Diocesi di Noto
dove si conservano le sante spoglie veneratissime del
Patrono San Corrado piacentino, eremita e pellegrino
La Diocesi di Noto
La diocesi di Noto (in latino, Dioecesis Netensis) è una sede della Chiesa cattolica suffraganea dell'arcidiocesi di Siracusa che appartiene alla regione ecclesiastica Sicilia. Costituita il 15 maggio 1844,contava 211.000 battezzati su 212.546 abitanti nel 2004.
Territorio
La diocesi di Noto, si estende per due provincie, quella di Ragusa attraverso le città di, Modica, Ispica, Scicli, Pozzallo e Siracusa attraverso Noto, Avola, Pachino, Portopalo e Rosolini. Queste costituiscono gli 8 vicariati della diocesi mentre 98 sono le parrocchie. La città più popolosa della circoscrizione non è Noto (23.473 abitanti) bensì Modica (53.857 abitanti).
Serie dei vescovi
- Giuseppe Menditto - (22 luglio 1844 - 14 novembre 1849)
- Giovanni Battista Naselli - (17 febbraio 1851 - 27 giugno 1853)
- Mario Giuseppe Mirone - (28 aprile 1853 - 17 febbraio 1864)
- Benedetto La Vecchia - (23 febbraio 1872 - 5 luglio 1875)
- Giovanni Blandini - (5 luglio 1875 - 3 gennaio 1913)
- Giuseppe Vizzini - (19 agosto 1913 - 8 dicembre 1935)
- Angelo Calabretta - (16 luglio 1936 - 27 giugno 1970)
- Salvatore Nicolosi (27 giugno 1970 - 19 giugno 1998 ritirato)
- Giuseppe Malandrino (19 giugno 1998 - 16 luglio 2007 ritirato)
- Mariano Crociata dal 16 luglio 2007
Una visita pastorale del 16 dicembre 1579
la antica visita alla nostra chiesa di Calendasco fu "apostolica" effettuata per conto del Vescovo mons. Giovan Battista Castelli
CALENDASCO
la chiesa parrocchiale ha sottoposti due oratori, uno dei quali posto ad Arena,
Per cura della moglie di Luigi Confalonieri, nella relazione della visita pastorale del vescovo alla chiesa parrocchiale di Calendasco, retta dal presbitero Antonio del Milio è scritto che l’Illustrissima Domina versa un obolo per la fornitura annuale dell’olio necessario per la lampada dell’altare maggiore posta accanto al Santissimo Sacramento.
Leggiamo anche che:
“In predecto territorio de Calendasco” sottoposto alla chiesa parrocchiale è “oratorium nuncupatum sub vocabulum Sancti Rochi posito in loco arene” ove risiede il Signor Rizzolo ed è “in territorio diciti loci Calendaschi ed quo est profanatum et nihil habet in bonis, et non habet aliqua paramenta...”
Dalla carta deduciamo che il culto a San Rocco era esistente: santo penitente terziario, venerato principalmente contro la peste e anche assurto a protettore dei pellegrini. Infatti la località di Arena, ancor oggi esistente è sulla “strata romea” cioè la via Francigena che dirige a Calendasco ed al porto del Po luogo di transito e traghetto.
L’oratorio nel 1579 è ormai desueto e profanato, cioè non più in uso, questo significa che doveva avere una antica fondazione, ed essere abbastanza antico ed addirittura risalente alla prima divulgazione del culto in terra piacentina, come appunto fu in Sarmato e nella stessa Piacenza.
Possiamo ritenere che un tempo, cioè prima della profanazione, fosse dotato di propri arredi e paramenti per la sacra liturgia ed anche fosse adorno di pitture al Santo Rocco.
Purtroppo oggi dell’oratorio si è persa completa memoria e non è desumibile sapere ove fosse ubicato e anzi si crede certamente abbattuto nel tempo.
Certezza vuole però che esso sorgesse al ridosso della strada principale diretta al borgo sul Po: ancora oggi questa piccola frazione sorge lungo l’asse viario principale ed è segnalata già come frazione, nominata quale Arena, in mappe del tardo 1500 ed in carte notarili molto più antiche che indicano terre e possedimenti in Arena territorio di Calendasco.
Già il fatto che San Rocco sia inscritto nel Calendario e Ufficio Liturgico del Terzo Ordine Francescano - oppure Regolare (TOR) che dir si voglia - era stata per me una scoperta importante! Infatti questo santo, veneratissimo nel Piacentino, secondo la Tradizione è appena successivo nei suoi accadimenti di vita, a San Corrado, ed anzi per certi anni, la loro vita si intreccia nel piacentino: intendo quando il nostro santo Corrado già era ritirato nel romitorio di Calendasco del 'gorgolare' (appresso al mulino), con la comunità retta dal superiore frate Aristide. Anzi è logico e probabile pensare anche 'storicamente' di un loro incontro e conoscenza!
E' storicamente certo che i Terziari ospedalieri - quali in Calendasco - di cui anche s. Rocco è un 'infermiere itinerante' (così lo definiscono gli storici per il fatto che itinera da ospitio in ospitio proprio al servizio degli infermi), sono con quelli viventi nei romitori, i primi 'congregati' per una risoluzione alla Regolarità dei Terziari, e il "romitorio" di Calendasco è tra i 'fondanti'.
Non mi dilungo qui, ma già documenti del tardo 1300 identificano storicamente il "romitorio con Superiore frate Aristide", e per ora tanto basti, (più avanti gli Studi in preparazione renderano onore e giustizia al vero con precisione di carte e documenti).
Gorgolaru, villa sutta Placentia nominata
Lo storico capace e serio si affida
ai documenti, oppure, mancando questi,
alla logica più deduttiva
GORLAGO e BORGOTARO
ASTORICO e SENZA BASE LOGICA
Scrive il Balsamo, che è fra gli studiosi netini del santo, (scrive 18 anni fa ndr), alla pag. 99 degli Atti del Convegno del 1990 che “E’ necessario ritenere che il Pugliese – la cui attendibilità ci pare fuori discussione – accingendosi a rivedere ed ampliare, sul finire del Cinquecento, il suo poema... ebbe a frugare utilmente fra le antiche carte della Chiesa Madre...”. Il Pugliese è lo storico netino che cita oltre al cognome – Confalonieri – del Santo piacentino, anche il luogo del ritiro: Gorgolaru, villa sutta Placentia nominata.
Villa sotto a Piacenza, e sappiamo che le mappe del 1500 e le odierne, nella toponomastica piacentina, tenendo a riferimento ancor oggi il fiume Po, dicono ‘sotto’ il NORD e ‘sopra’ il SUD, bastino le cartine odierne con decine di località della provincia di Piacenza così nomate e così sistemate geograficamente.
Villa sutta Placentia: luogo a nord di Piacenza, in giurisdizione di Piacenza!
Quindi NON Gorlago nel bergamasco a oltre
Per di più se si dice essere il Pugliese storicamente valido. O del Pugliese è tutto storico e valido oppure no: cioè quando cita nettamente del Confalonieri, idem nel caso del villa sutta Placentia!
O forse si ritiene valido solo quello che giova a ‘buon pro’ personale? Ma la verità storica circa il nostro amatissimo Santo Patrono non può rimanere avvilita da prese di posizione che tentano di salvare tesi ormai superate, e con elementi d’Archivio reperibilissimi da libri pubblicati in Piacenza di recente, 2005 e 2006!
Oppure per chi sà quale opportunità, o per non rimetterci la faccia, qualcheduno ritiene perseverare nella astoricità, che però, e per fortuna, è già stata criticamente vagliata e ritenuta valida così da mettere “a riposo” le sorpassate tesi! Valide forse nel 1990, non più ora, ed a ragione: carta canta!
Ripartiamo da qua, il Patrono, che veneriamo tutti indistintamente con assidua devozione, lo merita.
Fulvio A. Malvicini
VILLA SUTTA PLACENTIA
Sutta e supra
Sutta corrisponde al nord
Supra corrisponde al sud
Mappe antiche e moderne, nomi di località e la loro localizzazione topografica sono eloquenti: un dato emergente è che l’hospitale romitorio calendaschese è situato secondo l’indicazione esatta del Pugliese del 1568.
La storiografia piacentina degli anni passati ha fatto sì che circolasse una erratissima informazione storica mal recepita anche a Noto per quel che riguarda la indicazione toponomastica e geografica relativa alla indicazione ‘sutta’ e ‘supra’.
Sarebbe bastato dare un occhio in più alle mappe del 1500 e 1600 conservate negli Archivi Statali e già pure ripetutamente pubblicate, relative a Piacenza ed al suo vasto territorio per accorgersi e quindi evitare, di avallare un grossolano errore.
Precisamente tutto nasce da questa frase del poema del Girolamo Pugliese che così pare indicare ove fosse l’eremo del ritiro di San Corrado: “... era stu locu appresso Gorgolaru, villa sutta Placentia nominata”.
Diciamo che ‘villa sutta Placentia nominata’ fà intendere in senso generale che si voglia dire ‘villa in giurisdizione di Piacenza’ od anche ‘villa in provincia di Piacenza’; col termine ‘villa’ si intende una frazione abitata, un piccolo paese.
Cominciamo col citare ciò che lo storico del francescanesimo Filippo Rotolo registra nell’importante volume “Vita Beati Corradi”: “Le uniche e scarse notizie sul Pugliese provengono dal Pirri e dal Mongitore. Da questi sappiamo che fu Sacerdote, che fu Vicario Foraneo... Il Pugliese nel suo racconto si basa eminentemente sulla Vita Beati Corradi, ma assieme a questa egli certamente si servì dell’opera del Venuto e del Rapi, e assieme a loro di qualche racconto conservato presso il popolo... Il Pugliese non porta grandi contributi alla Vita di S. Corrado. Pochissime sono le precisazioni proprie...”.Oltre ad indicarci che il Pugliese si servì di altri studi esistenti, è chiarificato che egli non porta grandi contributi sulla Vita di S. Corrado e pure le precisazioni sono scarse.
Impostiamo ora il discorso col citare la mappa disegnata dall’ingegnere piacentino Paolo Bolzoni, pubblicata tra il 1587-1588 importantissima, sulla quale già esimi studi sono stati fatti proprio perchè è di una precisione estrema sia nel campo indicativo geografico-fisico che in quello della toponomastica.
Un qualunque storico piacentino che si rispetti avrebbe dovuto conoscerla e quindi si sarebbe evitato di divulgare a Noto un errore grossolano relativo alla indicazione geografica di luoghi piacentini andando a creare un equivoco che ha fino ad oggi trovato sostenitori più o meno consapevoli - (è talmente conosciuta che di questa eccellente mappa se ne sono occupati con pubblicazioni pregevoli ottimi Professori ed Università).
Si è voluto far credere che l’indicazione geografica “sutta” fosse indicativa del ‘sud’ e quindi quella opposta “supra” indicativa del ‘nord’; difatti a chi non conosce le mappe antiche e moderne dell’area piacentina, può apparire palese prendere per buone queste indicazioni. Ma sono indicazioni sbagliate, errate senza ombra di dubbio: basta ‘leggere’ appunto le mappe del tardo ‘500 piacentino e meglio ancora, dare un’occhiata a quelle moderne per accorgerci del grossolano abbaglio.
Ebbene la storiografia recente ancora una volta sorpassa quella dei decenni scorsi, a monopolio unico, in effetti nelle mappe piacentine l’indicazione geografica di una frazione, di un paese, di un piccolo centro abitato è indicato chiaramente al rovescio di quello che si pensa: il sutta indica il nord mentre il supra indica il sud.
Le cartine geografiche sono chiare al riguardo: nella mappa del 1587 del Bolzoni, ad esempio si può vedere la località Suprarivus Subtanus posta a nord mentre il Suprarivus Supranus è posto a sud. Sempre in quella ottima mappa i molini di Calendasco chiamati appunto molendini Suprani Calendaschi sono a sud del paese: come invece può far fuorviare il nome molini soprani (di sopra) pensandoli a nord.
Ma si badi bene che non è tipico solo dell’area padana piacentina - ieri come ancora oggi – indicare località, distinte in due agglomerati, con lo stesso nome ma però con la differenziazione sopra (sud) e sotto (nord), anche le vecchie carte geografiche ad esempio dell’area di Pavia ci indicano dei paesi e delle frazioni o delle aree rurali distinte dal sotto e dal sopra come nel piacentino.
Era usuale e ancora oggi lo è: ripeto basta vedere le mappe più precise, quelle militari ma non solo, comunemente in vendita ai nostri giorni, per accorgerci che l’area padana indistintamente usava distinguere il nord con la dizione sutta – sotto ed il sud con supra – sopra e nelle edizioni moderne delle mappe vige ancora questa regola.
Guardando una mappa dei nostri giorni possiamo notare piccoli paesi o frazioni che nella toponomastica riportano la dizione ‘sotto’ e ‘sopra’ così come abbiamo imparato: ad esempio non molto lontano da Calendasco c’è il Castellazzo di sotto a nord ed il Castellazzo di sopra a sud. Possiamo notare i paesi di Campremoldo di sotto a nord e Campremoldo di sopra a sud, e questi due distinti paesi hanno ognuno la propria chiesa parrocchiale. Altre ancora sono le frazioni così identificabili nella toponomastica piacentina, indice questo che la questione del ‘Villa sutta Placentia’ che il netino Pugliese segnalava nel suo poema nel tardo 1500 è risolta: il sutta va letto quale nord ed il supra invece quale sud . Il romitorio di Calendasco è sorto sulla Via Francigena in epoca longobarda quale xenodochio per pellegrini diretti al porto sul fiume Po e in seguito è divenuto hospitale dei penitenti verso il 1200 ed è geograficamente posto a circa sette chilometri a nord della città, posizionato quindi secondo l’uso topografico e geografico ‘sutta (nord)’ di Piacenza.
In un importante lavoro sulla cartografia possiamo leggere: “La rappresentazione cartografica a partire dal Cinquecento, era andata acquistando una crescente rilevanza, in quanto strumento stesso di potere... I rilevatori cartografici erano dunque impegnati in un compito che li proiettava sul territorio”. E’ significativo che le mappe del ducato farnesiano e borbonico di Parma e Piacenza siano fondamentali per vari aspetti e minuziosamente precise: “Si tratta di documenti molto ben costruiti, numerosi e diversificati, che contribuiscono ad offrire una concreta testimonianza dell’importanza dei corsi d’acqua nell’economia del tempo...Tuttavia proprio l’accuratezza geometrica del disegno, il dettaglio di non secondari particolari, l’attenzione per la geomorfologia dei luoghi, illustrati nelle mappe d’Archivio... offrono una ulteriore prospettiva di riflessione circa l’idoneità del documento cartografico, in diverse sue forme e fonti, a supportare un intervento attento e consapevole di pianificazione territoriale”.
Proprio il dettaglio di non secondari particolari ha portato alla individuazione scientifica dell’hospitale di Calendasco in una mappa del tardo ‘500 oltre che in numerosi atti notarili.
Capitolo tratto dal libro a cura di U. Battini San Corrado Confalonieri i documenti inediti piacentini ediz. Compagnia di Sigerico in Calendasco, Calendasco (Piacenza) 2006
La Casata dei Confalonieri a Piacenza e nel territorio ha radici molto lontane, già nel 846 compare nominato Anduyno de Confalonieri in una carta relativa a Bobbio per il diritto dei benedettini di navigazione libera sui fiumi Po e Ticino. Piacenza in età longobarda aveva la sede di un Ducato, mentre i carolingi la resero centro d’un Comitato. Nel Registrum Magnum di Piacenza troviamo nominati i Confalonieri in tanti atti della comunità: suore nel monastero di S. Giulia di Brescia che aveva i diritti per la navigazione sul Po, il porto e traghetto posti al nord-ovest di Piacenza, tra i quali quello appunto di Calendasco, nel 1198 erano la domina Helena Confanoneria e la domina Mabilia Confanonera.
In un’altra carta del 1277 compare nominata sempre per diritti relativi al Po, Leonor Confalonieri ed in un Cartula societatis fatta a Piacenza il 17 febbraio 1200 si legge di Arduino Confanonerius che chiede per sè e per Giovanni Rogna il diritto di estrarre acqua dal Nure per mezzo di un canale, per portarla a due molini in costruzione.
Sappiamo con certezza che erano al servizio del Vescovo nei secoli XI – XIII, ed in quanto famiglia guelfa a seconda dei momenti politici di Piacenza, subirono come altre casate nobiliari momenti positivi e periodi di aspra contesa e lotta ed i Confalonieri erano “antichi capitanei episcopali che si erano inseriti nella lotta per il predominio cittadino ed avevano assunto il potere assieme ai capi della fazione nobiliare che nel 1310 aveva battuto Alberto Scotti”. A Piacenza dopo il 1220 si impone il sistema politico retto dal Podestà, che diventa arbitro tra le varie fazioni, nel 1242 troviamo in carica Manfredo Confalonieri.
E’ una Casata molto prolifica, ad esempio in carte del 1282 e 1283 troviamo citati vari componenti: Jacopo Confalonieri con i figli Alberto, Bernabò e Filippino ed ancora Bernardo figlio di Oprando Confalonieri.
Ai Confalonieri era espressamente riservato il controllo dei passi sul Po e quindi anche la relativa riscossione delle gabelle per transitare lungo l’alveo piacentino del Po per certi ben definiti tratti. Calendasco nei secoli X – XII era sottoposto alla giurisdizione del Vescovo-Conte di Pacenza e nel 1162 il Podestà che aveva messo personalmente il Barbarossa, Arnaldo detto il ‘Barbarava’, restituisce al vescovo di Piacenza Ugo poteri e diritti, tra cui quelli sopra agli abitanti del distretto e del territorio rurale nei dintorni della città; su questo territorio era l’importante strada di origine romana, Placentia-Ticinum (Piacenza-Pavia) e poco discosto dal burgi Calendaschi era il porto sul fiume ed il traghetto. Piacenza vedeva confluire sul suo territorio tre grandi vie: “La prima, la ‘via francigena’, conduceva i pellegrini che venivano dai paesi ‘franchi’ per andare a Roma. Essa sboccava sul Po, varcandolo a nord di Piacenza attraverso un passo che non era controllato dal governo comunale perchè, dall’età longobarda, si trovava in possesso del monastero di S. Giulia di Brescia. La ‘via francigena’ attraversava da ovest a est il territorio piacentino...”.
Sul porto della Via Francigena rientrante nel contado di Calendasco, abbiamo la Cartula concordie et pacti fatta tra piacentini e ferraresi per avere libero movimento sul Po e garanzia per cose e persone: “... Et Ferrariensis debe esse salvus et custoditus in persona et in habere in Placentia et in districtu Placentie, et non debet dare aliquam dationem in Placentia vel in districtu Placentie, nisi duos solidos de fune navis et unam libram piperis super rivum et unam aliam libram piperis ad Roncarolum de sterio...”, nessuna tassa quindi, ma solo una piccola parte in denaro e pepe – spezia preziosissima nel medioevo – da pagare al porto di Sopra rivo, che è a soli due chilometri da Calendasco. Una carta del 1056 parla dei beni venduti che sono in eodem loco Calendasco e che sono posti desuper strata Romea in integrum e queste terre hanno degli appezzamenti sui quali è possibile costruire delle case e fattorie, cioè sedimen, ed ancora terre arabilis atque gerbidis et buscaleis cum illorum areis insimul iuges viginti quinque”, tra l’altro queste ‘boscaglie’ poste intorno a Calendasco possono ben adattarsi all’incendio che San Corrado provocherà nel primo 1300.
La chiesa sorse sopra un monticello assieme al primo nucleo del castello, dalle carte longobarde sappiamo che l’oratorio di S. Maria riceveva dai rustici, la decima. Un diritto riservato alle chiese insigni pievane, Calendasco però aveva la particolarità di essere feudo diretto del Vescovo di Piacenza nel XI secolo e quindi per proteggere le popolazioni che qui risiedevano per lavorare le terre si costruì un recetto.
Oggi il recetto appare addossato al castello maggiore ed ancora nel 1500 nei documenti si evidenzia la distinzione tra ‘castello’ e ‘recetto’: i recetti, che sono depositi dei generi prodotti dal lavoro della terra, sorgono a protezione delle popolazioni rurali e degli ammassi di cereali, biade e vino. Nell’Estimo farnesiano alcune case sono a confine con la fossa del rezeto oppure con la piazza del rezetto, ma già nel
Questi ‘recinti difensivi’ detti recetti hanno al loro interno abitazioni provvisorie; col tempo i recetti è provato che divengono nuclei importanti per un successivo centro abitato; il recetto di Calendasco, di proprietà vescovile nei secoli X-XII, è sorto lungo la strata romea, “percorso su cui in epoca medievale si doveva ancora rilevare il lisostrato di età romana”.
Le carte più antiche che ci parlano dei Confalonieri conservate nell’Archivio della chiesa di Calendasco datano a partire dal 1461, ma in Archivio di Stato di Piacenza se ne conservano da ben prima di quella data e per buona parte comunque inedite. Il documento fatto dal notaio nel rezeto Calendaschi il 19 ottobre 1448 ci fa intendere che esso era attaccato al castrum, compaiono i Nobili Confalonieri e nel recetto vi abitavano più persone. Una carta del 1447 ci dice che una persona che aveva dimora dentro al recetto viveva distintamente sub lege romana, il presbitero che compare in questo periodo è Guglielmo de Ferrari.
La carta del 12 gennaio 1461 è stata fatta nella Curia di Piacenza, alla presenza del Preposto Paolo Malvicini De Fontana, con i notai piacentini Antonio Gatto e Pietro De Jerondi, essa interessava il Dominus presbiter Gulielmus de Ferrariis rector ecclesiae sanctae Mariae de Calendascho Placentinae Diocesis ed anche i Nobilis vir Bernabos de Confanoneriis filio Divi Ludovici, la Nobil Donne Helena matris suae, viene pure citato Antonio Confalonieri ove si specifica che è fratello di Bernabò e Magdalena, la quale ritengo con certezza essere la stessa che ritroveremo come Abbatissa nel monastero di S. Chiara di Piacenza nei primi anni del 1400, e si cita anche il Marchese di Piacenza Malvicini De Fontana. Queste concessioni tra i Nobili e il parroco della chiesa, vanno ad interessare terre casamentate et in parte canelate poste in burgo dicti loci Calendaschi: tra l’altro comprendono un ben definito jus irrigandis ed uno jus cimitterius. Le terre sono poste vicino al castello incipiendo strata introitus dicti riceti sive roche sive castri Calendaschi, od anche hanno confine versus sera Tantum Castrum,scopriamo che quello che oggi è un semplice grande canale, qui è citato quale flumen Ranganelle vivue e flumen Ranganelle mortue, alcune coerenze sono con il rivo Macinatore, rivus macinatorius di proprietà dei Nobilis de Confanoneriis ai quali appartiene il cavo adaquatorium; quali testimoni del cambio e permuta di terreni, si citano venerabilis Dominus Jacobi de Ambrosii canonico della Chiesa maggggiore piacentina (la Cattedrale) e Antonio de Abiatici Arciprete della Pieve e Chiesa di S. Germano di Podenzano. Una stipula di enfeteusi del
E’ da notare che nelle carte Calendasco ha dignità di Borgo, cioè rientrava in quel ristretto nucleo di luoghi che avevano preminenza su altri minori, tra 1200-1300 sappiamo che i più importanti borghi posti sulla Via Francigena erano Fontana Fredda, Fiorenzuola d’Arda e Calendasco. Inoltre con rogito notarile tutta l’area a nord-ovest di Piacenza prossima al Po, fu ceduta dagli Scotti al vescovo di Piacenza proprio negli anni della maturità di San Corrado.
Quali feudatari i Confalonieri stilarono per mano dei vari notai che nel tempo si susseguirono, vari atti direttamente a Calendasco in castro.
L’Abito del Terz’Ordine
di uomini e donne
della ‘penitenza’
Era comunemente in uso già con S. Francesco
per i Terziari quali San Corrado quello
detto 'guarnello' o 'piacentino'
Estraiamo i commenti e le notizie storiche da un Trattato epocale molto bello e istruttivo, un volume edito nel
Si tratta del “Trattato del Terz’Ordine o vero ‘Libro come Santo Francesco istituì et ordinò el Tertio Ordine de Frati et Sore di Penitentia et della dignità et perfectione o vero Sanctità Sua’ – di Mariano da Firenze scritto verso gli anni del 1520.
E’ un testo quindi culturalmente interessante che il cultore di francescanesimo dovrebbe avere nei propri volumi personali.
In questo breve saggio daremo in forma sintetica alcuni passi del “Trattato” circa l’abito in uso dalle origini per i Terziari laici sposati o meno e per quelli che già vivevano in piccole comunità alla stregua di quei ‘penitentes’ dell’eremo-hospitale di Calendasco di Piacenza, luogo del ritiro del nostro amatissimo Santo Eremita Corrado Confalonieri. I neretti nel testo sono nostri.
Come si debba andare vestito di panni vili
Cap.° 5°
- pag. 360
Ma quanto al vestire delle donne, dice che le sore si vestino di quello medesimo panno, cioè di quello medesimo pregio; ma concede loro che co mantelli di panno possino portare le tonache di guarnello o vero di panno piacentino bianco o nero, o vero di palutello di canapa o lino, che sia largo et sanza alcuna crespa cucito; el pregio del quale non passi dodici soldi di Ravenna. Ecco addunque per li sopra decti panni et pregii come appertamente sancto Francesco vole che li frati et sore si vestino di panni vili.
- pag. 363
Così ancora del colore, quando uno non volessi portare li panni di tanto vile colore, li possono concedere che porti li vestimenti di colore bianco o nero come si contiene nella regola non bollata, nella quale (S. Francesco) concede loro che per tonica possino havere guarnelo o vero panno piacentino bianco o nero che sia. Così portava sancto Ivo di Bretania et sancta Margherita da Cortona, cioè la tonica bianca virgata di alcune virgule di colore nero ma naturale.
Della forma del habito e come molti signori sono vestiti tale habito
Cap.° 6°
- pag. 364
Per queste pelli che qui co mantelli fa memoria, intendo el vestimento inferiore, che se vogliono portarlofoderato di pelli o aperto o intero, cioè cucito dinanti; se non è intero, non debono portarlo aperto come fanno li altri secolari, ma affibiato come si conviene alla honestà, colle maniche serrate, cioè intere.
- pag. 365
Alcuni altri come heremiti et che vivono in congregatione co tre voti solenni portano uno capuccio dinanzi disteso in sino alla cintura come di rieto, a diferentia de frati minori...
Et benchè dica sia di quello medesimo panno, niente di meno concede loro che decta tonica la possino portare di guarnello o di piacentino bianco o nero. El guarnello è panno di laccia et bambagia, et el piacentino, secondo alcuni, di lino et lana, et secondo altri di rascia. Queste tonache legieri credo sancto Francesco habbia ordinato loro come homo discreto acciò sieno più acte et spedite nel governo della famiglia.
- pag. 366
Ma quanto alla forma de mantelli, trova due forme. La prima è quella come li homini, cioè el mantello alle spalle in figura di peviale affibiato dinanzi al pecto, et maximo le vedove; ma le maritate in alcune parti lo portano aperto, sotto le combita rimesso, et in viduità rimanendo lo affibbiano o lo portano nella seconda forma.
- pag. 367
Li altri vestimenti quanto alla forma (S. Francesco) non li determina, et possonli portare come li altri del secolo, purchè sieno honeste portature aperte o intere che sieno; così le sore possono portare guarnelli et piacentini di colore bianco o nero, et cintole di coio, come portano li altri. Ecco che altro habito non determina che el mantello.
Et però quelli che non volgiono portare el mantello si può dire che non sieno del Tertio Ordine, benchè portino li panni superiori di colore bigio; perchè sancto Francesco non si cura del colore, ma solo che sia panno humile et nella forma che ha ordinato, cioè mantello senza scollatura.
NOTO:
IL PROCESSO
TESTIMONIALE DEL 1485
A Piacenza si conosceva del nobile in fama di santità!
Scrive p. Filippo Rotolo nella relazione tenuta nel Convegno di Noto del 1990:
“Tra le testimonianze più notevoli per la storia del culto di S. Corrado, segnaliamo quella del Magnifico D. Francesco Leonfanti, Dottore in utroque e resa il 5 luglio (1485). In essa il teste ci narra che nel 1467 trovandosi a studiare a Padova e parlando con MesserGiovanni da Piacenza, anche egli studente, gli venne di ricordare tra le città principali di Sicilia anche Noto. L’interlocutore (Giovanni da Piacenza ndr) sottolineò che già havia intisuchi in quista chitati di Nothu chi esti lu corpu di unu nobili homo, lu quali fu di la mia chitati di Placentia, dichendu chi havia statu nobili homu.
Crediamo che questa sia la testimonianza più antica, anche se indiretta, sulla conoscenza di S. Corrado a Piacenza.”
In effetti questa è una prova antica che a Piacenza prima del 1500 assolutamente si sapeva di un nobile della stessa Piacenza che era morto a Noto in Sicilia e venerato quale “beato Curraldo”. Si sapeva quindi di questo nobile piacentino destinato alle glorie degli altari già a livello di "vociferare" e quindi riteniamo che se l'ambiente erudito quale è quello del Messer Giovanni di Piacenza del tardo 1400 era a conoscenza del fatto, ancor più lo erano le autorità preposte quali appunto le Curiali piacentine.
E se questo Messere di Piacenza ben conosceva del nobile morto in virtù cristiana a Noto, si avvalora il testo del Pugliese, storico netino, che infatti dice che alla morte del Santo Eremita fu mandato a ricercare chi fosse in Patria natale e si scoprì essere “di li Confalonieri di Placentia”. Ed anche frate Bernardino di Piacenza nel 1515 che deve occuparsi per Noto dell’approvazione da parte di papa Leone X del ‘Breve’ per la venerazione quale Beato è informatissimo sul santo Corrado, e inevitabilmente sempre più la città di Piacenza, sebbene non ancora pienamente coinvolta perchè si stava solo procedendo a Noto per far riconoscere a Roma la santità, viene a conoscere di questo nobile. Allora non si cominciò a conoscere del Santo solo nel 1608 grazie al canonico Campi, ma al contrario Piacenza già ‘aveva nell’aria’ ciò che riguardava questo illustre piacentino. Altri dati sono emersi, ma li proporremo in altro momento perchè sono oltre che inediti, assolutamente importanti per la questione.
NOTA al Testo
Il testo presente sull’Araldo virgolettato è a pag. 129-130 degli ‘Atti’;
il testo dei processi testimoniali sono editi in:
“Corrado Confalonieri – la figura storica, l’immagine e il culto. Atti delle giornate di studio nel 7° centenario della nascita – Noto 24,25,26 maggio
Filippo Rotolo “I processi testimoniali per la canonizzazione di S. Corrado” da pagg.113 a 188